La chiesa è viva o morta?

by don Aurelio

Ad alcuni sembra che il nostro mondo stia cessando di essere cristiano. Si parla di tradizionalismo e di modernizzazione, ma non ne usciamo. Come facciamo a parlare di giovinezza e di futuro della chiesa?
Uno dei problemi gravi della chiesa è quel che Papa Francesco, con un neologismo, ha definito ‘indietrismo’, una moda che ci rende setta, che ci chiude e ci toglie gli orizzonti. Non possiamo inchiodarci al timone, pensando che la propria vita sia solo un vagare insensato verso una meta certa (Stig Dagerman). Per Dagerman il pensiero del futuro nasce dall’incontro con una persona amata, una carezza, un aiuto nel bisogno, la gioia che dà un bambino, il brivido di fronte alla bellezza.
La nostra esperienza umana è l’urlo di una disperazione che ha conosciuto l’incontro con Dio, come storia e futuro. Il Vangelo ci proietta in un futuro-avvenire, non perdiamoci ancora dietro alle nostre inutili e astratte congetture-pensieri.
La chiesa non è un'organizzazione e il prete non è un burocrate dello spirito, non è un funzionario che commercia salvezza, predicando valori. Siamo ancora capaci di pensare al dopo, al domani, a qualcosa che deve ancora accadere, di immaginare un futuro possibile? Forse manca il futuro, una speranza che Seneca chiamò ‘dulce malum’, un incantesimo...?
Papa Francesco parlava di sana inquietudine che è l’atteggiamento dei giovani di fronte alla vita e alla storia. Bisogna infatti stare attenti a che l’orizzonte non si avvicini a tal punto da diventare un recinto. All’orizzonte aperto deve corrispondere un pensiero aperto. Dio è creativo, non è chiuso e per questo non è mai rigido.
Nell’inquietudine si genera futuro.
Al caos anarchico percepito si tende a opporre un cristianesimo intransigente e identitario. Si avverte spesso il senso della vertigine, il terremoto, che ci fa dare un calcio al tavolo (Mt 21,12). La nostra apertura al futuro non deve diventare un attivismo pelagiano.
La Chiesa è un popolo in cammino che trascende sempre ogni pur necessaria espressione istituzionale (Evangelii gaudium n.111). Per questo bisogna rifiutare l’idea dell’attuazione del Regno di Dio sulla terra, come durante il Sacro Romano Impero.
Il ritmo della chiesa non è quello della sinfonia, ma piuttosto quello della ‘jam session’ di un concerto jazz con poliritmia. Bisogna agire sul passato in vista di un futuro.
Siamo grati a Antonio Spadaro che ha ispirato questo articoletto: la consultazione di Civiltà Cattolica ci ha aperto nuovi orizzonti.


2025-09-11