Parole...parole

by don Aurelio

Viviamo in una civiltà sovrabbondante di parole, eppure queste stesse parole sono in crisi. I gruppi e le associazioni in cui si parla, si discute, si approfondisce, tanto amati negli anni Settanta, oggi sono guardati con sufficienza da giovani e meno giovani come comunicazione vuota, autocentrata,tempo perso.
Sappiamo che nell'antichità il vertice della formazione culturale era la retorica, cioè lo studio dell’uso migliore delle parole. Oggi, invece, la stessa parola "retorica" evoca un modo di parlare ampolloso e vuoto. Nell’antichità la parola era qualcosa di forte e creativo, oggi invece è sentita come un modo per manipolare e indirizzare le scelte, spesso in assoluta malafede.
Eppure, per comunicare non possiamo fare a meno delle parole. Anche l’esperienza della fede vissuta non può prescindere dall’annuncio ricevuto (fides ex auditu) e non può esimersi dal portarlo agli altri, soprattutto attraverso la testimonianza. I luoghi virtuali aprono nuovi orizzonti sui social media per ciò che riguarda l’uso delle parole. Parole... troppe parole... che non "salvano".
Soltanto la Parola di Dio ci salva.
La stessa "Sacra Scrittura - Parola di Dio" è affidata alla parola umana con i suoi limiti, approssimazioni e fraintendimenti. In ebraico dabar significa non solo parola, ma anche evento, e nei Vangeli troviamo "i detti e i fatti" di Gesù. Le parole non hanno l’ultima parola, ma hanno il loro approdo nel silenzio comunicativo e orante, riconosciuto superiore alla parola.
La parola-chiacchiera è una marmellata linguistica, un insieme di parole bavose che annoiano, un fast food di ciance; un parlare con frasi fatte e con abbondante uso di "precotti": un "gargarismo" che riguarda più le corde vocali che le sinapsi cerebrali.
Lo sa chiunque comunica davvero: lo sa il musicista, il poeta, il pittore; lo sa chi ascolta, chi è capace di silenzio eloquente più delle parole. Silenzi loquaci e parole silenti. Chi non comprende il tuo silenzio, non capirà nemmeno le tue parole.


2025-10-06