La Chiesa: oggi e domani

by don Aurelio

Severino Dianich, nel libro Troppo breve il mio secolo (Ed. San Paolo, 2023, pp. 208), racconta la sua vita con un approccio di carattere sapienziale. Attraverso le sue pagine rivivono eventi cruciali come la dittatura fascista, nazista e sovietica, la guerra, la globalizzazione e il conflitto in Ucraina. Centrale, certamente, è il Concilio.
Questo percorso autobiografico ed ecclesiale si chiude con la pericope dei capitoli 21 e 22 dell’Apocalisse di San Giovanni. Dianich stesso afferma: «La mia generazione ha avuto la ventura di assaporare due tragiche dittature, quella fascista e quella comunista, una guerra mondiale durata cinque anni, la Guerra Fredda e il terrore diffuso di un conflitto atomico… È giunta poi la globalizzazione e l’avvento dell’era digitale…».
Così Severino Dianich riassume quanto possiamo leggere nel suo libro: «Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà (Apocalisse 22,5)».
È un libro che è bene leggere: tante volte difendiamo la ‘tradizione’ degli ultimi secoli e, nei più sprovveduti, quella della loro infanzia. Veramente la tradizione è come un fiume, cioè è in continuo movimento. Non è possibile tentare previsioni riguardanti la Chiesa intera. Una cosa è l’Europa, altra è l’Africa, altra ancora è l’America Latina... La Chiesa è chiamata a spogliarsi di tante sovrastrutture che rischiano di ostacolare, invece di favorire, la sua missione, per ritrovare la freschezza del Vangelo e la dolce e confortante gioia di evangelizzare, anche quando occorre seminare nelle lacrime. Questa è un’affermazione di Paolo VI che Papa Francesco cita nella Evangelii gaudium.
Dianich, nella Chiesa, è un ‘intellettuale’ in grado di leggere in mezzo alla realtà: ‘intus-legere’, leggere in profondità. È una spina nel fianco del potere, dato che lo spirito critico di questo teologo è la bussola per la Chiesa; il pregiudizio e la superficialità sono il suo peggior nemico. Vede il futuro in un certo senso prima degli altri, indica i pericoli e le possibilità di superamento.
Un intellettuale opportunista, invece, è fuorviante definirlo ‘falso intellettuale’, perché pure lui usa la propria intelligenza, ma per giustificare l’esistente. Quanti amici ‘presunti intellettuali’ ho conosciuto che amavano il galleggiamento più del sughero… Per loro non importava la direzione di spostamento: fondamentale è stare in superficie! Non dice ‘sì o no’…, scivola come un’anguilla, è uno specialista scientifico del ‘sì, però…’, oppure del ‘no, tuttavia…’ e del ‘…è evidente, ma…’.
Un intellettuale come Dianich non scende a compromessi; afferma con spirito di verità ciò che vede, incurante dei rischi e dei pericoli personali. Ricordiamo l’insegnamento di Gramsci: cultura non è possedere un magazzino ben fornito di notizie e di verità ‘prêt-à-porter’, ma la capacità di comprendere la vita, il posto che vi teniamo, i nostri rapporti con gli altri… Quanti sono invece ammanicati nei vari gangli dei poteri e delle postazioni mediatiche, da cui sciorinano il loro ben remunerato servilismo!


2025-07-02