Tu non sei il tuo peccato

by don Aurelio

Dio non ci identifica con il nostro peccato. Al contrario, ci guarda per quello che noi possiamo essere nelle sue mani, nel suo perdono, nella sua misericordia. Tu non sei il tuo peccato, cfr. Gv. 8,1. La mia persona non si identifica con il peccato commesso. Il peccato può essere inteso come un’azione che viola una legge divina o una norma morale, ma ESSO NON DEFINISCE AUTOMATICAMENTE L’ESSENZA DELL’INDIVIDUO CHE LO COMMETTE. Dio ci perdona e questo implica che l’identità di una persona non è definita dal peccato commesso. Prendere coscienza di essere ‘peccatori’ non deve portarci a sentimenti di colpa cronica e di vergogna tossica, ostacolando la crescita personale e spirituale. E’ fondamentale saper distinguere l’errore commesso e il valore permanente della persona.
La coscienza gioca un ruolo chiave nel riconoscimento del peccato, ma anche nella possibilità di redenzione. Una visione psicoreligiosa equilibrata certamente sottolinea che la guarigione spirituale deriva dall’assumersi la responsabilità delle proprie azioni, senza tuttavia lasciare che queste definiscano interamente l’io. Questo equilibrio permette di armonizzare fallibilità e dignità umana. Il perdono verso se stessi e verso gli altri consente di liberarci dal peso emotivo del peccato.
Carl Gustav Jung ha scritto: ‘Io non sono quello che mi è successo,sono quello che ho scelto di diventare’. Non siamo semplicemente il risultato delle esperienze passate, ma gli artefici del nostro futuro attraverso le nostre scelte. La formazione della nostra identità individuale tende ad armonizzare libero arbitrio e resilienza. Non è tanto quello che accade a determinare il nostro destino, quanto piuttosto il modo in cui lo affrontiamo.
Immaginiamo una persona che ha attraversato una esperienza dolorosa. Non è facile uscire dall’ombra di quello che è accaduto, ma la forza risiede nella capacità di decidere che non sarà quel dolore a definirci. Possiamo scegliere di accogliere il passato, imparare da esso e usarlo come trampolino per costruire un futuro che rispecchi i nostri valori e desideri. Essere ‘ciò che scegliamo di diventare’ significa che abbiamo il potere di agire, di decidere, di tracciare una strada che ci rappresenti. Abbandoniamo allora il ruolo di vittima per abbracciare la piena responsabilità del nostro libero cammino. Noi siamo più delle circostanze che abbiamo vissuto. E’ questo un messaggio di speranza infinita… Non siamo il prodotto passivo delle esperienze vissute, ma una costruzione dinamica della personalità:

  • Con resilienza: capaci di superare le avversità e di trasformare le esperienze negative in opportunità di crescita
  • Con autodeterminazione: capaci di scegliere con libertà il proprio percorso di vita
  • Con influenza dell’inconscio: capaci di liberarci dai condizionamenti del passato,anche delle parti nascoste della nostra psiche,e realizzare il nostro sé autentico
  • Nel contesto sociale: le dinamiche familiari, le relazioni interpersonali e le influenze socioculturali possono plasmare la nostra identità
Anche Jung riconosceva l’importanza della dimensione spirituale in questo viaggio interiore alla scoperta della nostra essenza più profonda. Diventare ciò che scegliamo non è solo un atto individuale, ma ha anche una dimensione sociale. Questo cammino non da navigatori solitari, ma dentro una comunità, influenza il mondo che ci circonda e contribuisce a creare una società più giusta e umana. E’ una crescita continua, è un percorso che dura tutta la vita. Un individuo può commettere un’azione sbagliata, ma ciò non significa che quella azione definisca la sua essenza. Assumiamoci la responsabilità e riconosciamo gli errori, senza però assumerci un’immagine negativa di sé.
La Bibbia ci propone l’importanza del pentimento e del perdono, suggerendo che il peccato non è una macchia indelebile sull’anima di una persona. La vergogna che si focalizza sull’identità (‘sono una persona cattiva’) può essere paralizzante e distruttiva. Il senso di colpa ( = trasgressione di una legge: ho fatto una cosa cattiva) e, soprattutto, il senso del peccato (= la violazione della legge dentro una relazione di fede con Dio) possono essere un’emozione sana che spinge alla riparazione e al cambiamento interiore. La colpa si affronta in un contesto psicologico, il peccato invece da un punto di vista teologico di fede. Occorre saper distinguere tra la propria persona e il peccato commesso: è fondamentale per la crescita personale e spirituale. Il riconoscimento dei propri errori di fronte agli altri, la richiesta di perdono e il sostegno della comunità possono aiutare a superare il senso di colpa e a ricostruire un’immagine positiva di sé. E’ importante il supporto sociocomunitario nel superamento dei momenti difficili. Avere persone di fiducia con cui parlare e che offrano comprensione e sostegno, certamente aiuta ad accettare i propri errori e il cambiamento interiore. Questo non significa giustificare i propri errori, ma riconoscere i propri limiti e le proprie fragilità, accettare il proprio passato senza negarlo.
Consiglio di meditare il salmo 50, attribuito a Davide, sollecitato alla penitenza dalle parole severe del profeta Natan (cfr. 2 Sam. 11-12), che gli rimproverava l’adulterio compiuto con Betsabea e l’uccisione del marito di lei Uria. Tre sono i termini ebraici per descrivere il dramma del peccato:
  • hattà: mancare il bersaglio
  • awòn: deviazione tortuosa dalla retta via
  • peshà: aperta sfida rivolta a Dio
C’è però una radicata convinzione del perdono di Dio che ‘cancella, lava, monda’. Il peccato non è colto solo nella sua dimensione personale e psicologica ma è delineato soprattutto nella sua qualità teologica: ’contro di Te, contro Te solo ho peccato…’.


2025-04-14